Il potere della musica. Intervista al regista di Wacken 3D, al cinema il 24 e 25 novembre

25 anni fa a Wacken, un paesino nel nord della Germania, nasceva quello che di lì a poco sarebbe diventato il più importante festival Heavy Metal al mondo. 4 giorni, 75.000 spettatori, 120 band, 7 palchi sono solo alcuni numeri del Wacken Open Air. Per il 25° anniversario della rassegna il documentario ‘Wacken 3D‘ racconta gli eventi speciali, la registrazione dei concerti, i backstage e le interviste ai partecipanti, tra cui i Deep Purple, Anthrax, Motörhead, Alice Cooper, Rammstein, Henry Rollins, Annihilator e molti altri.

wackenCon l’aiuto di uno staff di 25 persone e macchine da presa 3D di diversi formati, i filmmaker hanno cominciato a riprendere il festival con quattro squadre nell’estate del 2012. Il risultato è stato di 70 ore di materiale girato, esaminato poi con attenzione dal produttore Thomas Erhart (Jumpseat 3D) e la sua troupe. ‘Il film doveva essere un’esperienza a livello emozionale e aveva bisogno della presenza di protagonisti che ci accompagnassero in quel percorso’ spiega Erhart. ‘Questa idea era alla base del nostro concept a più livelli. Ovviamente ci siamo concentrati sulla musica. Abbiamo ripreso tutti i concerti delle band più importanti su entrambi i palchi principali, e questo ha costituito l’ossatura del film. Per le riprese dei concerti abbiamo posizionato vicino ai due palchi principali dieci impianti di ripresa 3D e un’unità mobile. Altre tre unità di ripresa hanno seguito diversi protagonisti durante il festival. Le unità B, C e D hanno utilizzato delle macchine da presa sviluppate proprio per il festival e hanno prodotto le immagini che rendono l’atmosfera del film. Mostrano la gente, ci portano in giro in mezzo al pubblico. Grazie a loro abbiamo la possibilità di respirare l’atmosfera del Wacken Open Air. Su un altro piano, un’unità ha lavorato al backstage delle band e alle molte interviste’.

wackenDi seguito l’intervista al regista Norbert Heitker, regista musicale di successo già premiato per i suoi video dei Rammstein e dei Die Ärzte.
‘Wacken 3D’ è un’avventura che ti ha dato parecchio filo da torcere. Come mai hai accettato la sfida di girare live durante il festival, con molte unità di ripresa, senza una rete di sicurezza?

Ero affascinato dall’idea di Wacken. Quando ci ero stato per la prima volta nel 2012 (senza essere un fan della musica metal) avevo fatto fatica a capirci qualcosa. Da un punto di vista visivo, l’idea di riprendere il festival era un sogno. Ma non capivo cosa ci fosse dietro, come funzionasse. Quella volta eravamo riusciti a riprendere Robb Flynn dei Machine Head – si vede proprio all’inizio del film. Racconta di essere cresciuto senza alcuna educazione religiosa e che solo una cosa aveva dato una direzione alla sua vita: la musica. In quel momento ho capito. Si trattava di questo. Si trattava del potere della musica. Ed è la musica ad unire le persone al festival. È una cosa speciale. Sì, certo, si tratta del metal. Ma il metal è il mezzo per convogliare quella passione comune.

wackenCome hai affrontato il tuo compito?

Prima di tutto ho fatto delle ricerche sulla scena musicale. Dovevo conoscere a fondo il soggetto del mio progetto. Cosa c’è di tanto speciale in quella musica? Cosa c’è di tanto speciale in quei fan? Perché hanno quel particolare aspetto? Ho bisogno di sapere per poter poi affrontare con onestà il soggetto del mio film. E doveva essere un film onesto su gente che, fino a quel momento, era stata generalmente definita attraverso stereotipi. Io non volevo mostrare degli stereotipi. Questo vale anche per la frase che avevamo scelto all’inizio come tag line: ‘Louder Than Hell’ (titolo di un celebre album del gruppo metal Manowar, nonché di un libro di interviste pubblicato nel 2013 che racconta la storia della musica metal, ndt) Abbiamo subito preso le distanze da questo tipo di approccio, perché era esattamente il contrario di quello che volevamo. Volevamo mostrare i toni più delicati. Certo, c’è il baccano del festival, ma fondamentalmente abbiamo esplorato l’umanità che c’è dietro quel baccano. Cosa c’è di tanto affascinante a Wacken? La musica, che è in grado di riunire 75.000 persone. Lì a nessuno importa della razza, della nazionalità, del ceto sociale, dell’età o della religione degli altri. Tutto questo non ha importanza. La gente si riunisce e vive pacificamente e in armonia per la durata del festival. Gli appassionati di musica metal potrebbero sembrare aggressivi, minacciosi a volte. Ma a Wacken è tutto diverso. Sono convinto che Woodstock, simbolo di pace, amore & felicità e l’epoca degli hippies fossero molto meno pacifici di Wacken. È davvero incredibile scoprire quanto sia felice la gente a Wacken. …

wackenE questo non vale solo per i fan, vero?

No, vale anche per gli artisti. Sul palco, mentre suonano i loro pezzi, spesso appaiono aggressivi e violenti, ma quando li incontri per un’intervista hai modo di conoscere persone molto gentili, che ti sorridono mentre ti parlano, e che si emozionano come bambini quando sanno di potersi esibire a Wacken – non importa quanto siano famosi, che si tratti di Alice Cooper o dei Motörhead o di chiunque altro, non fa differenza. Te li immagini completamente diversi. Prendi i Ragnarok, una band di black-metal dall’aria molto minacciosa. Quando vedi le loro interviste e li senti parlare, non corrispondono affatto all’immagine che vogliono dare. Devi innanzi tutto conoscerli per capire perché quei musicisti metal sono così pacifici e contenti. Come si concilia con il loro genere di musica? Il metal è un genere molto costante. Ha un effetto stabilizzante sulla gente. Se qualcuno ama una band, continuerà ad amarla per 40 anni. E la band continuerà ad esistere per 40 anni. Biff Byford, cantante dei Saxon per 35 anni, dice: ‘Questo è il bello di Wacken!’ Da una parte ci sono i Deep Purple e dall’altra un gruppo come i Rammstein. E tutti e due sono considerati fantastici. I fan dei Rammstein si radunano davanti al palco per ascoltare i leggendari Deep Purple, e impazziscono. C’è una grande apertura per ogni genere di stile, fino al più estremo. E lo stesso vale per il pubblico. Puoi incontrare un padre sessantenne venuto insieme al figlio e giovani scatenati che vogliono solo divertirsi con i loro amici, ma che riescono poi a commentare la loro esperienza in modo molto intelligente. Vengono a Wacken per lasciarsi alle spalle per tre giorni la routine quotidiana e tornare ad essere degli individui a cui nessuno dice cosa fare. Percepisci la loro euforia in modo molto istintivo.

Riuscivi a riflettere su questi aspetti durante il festival? Le riprese devono essere state una vera lotta per la sopravvivenza, sia per te che per tutta la troupe…

Esatto. Devi pensare che ‘Wacken 3D’ non è un documentario su un evento di lunga durata. Il 90 per cento circa del film è stato girato in quattro giorni. Per cui la pressione a cui eravamo sottoposti era terribile. Sapevamo che dovevamo farcela lì e in quel momento. Oppure non ci sarebbe stato il film. È stato fondamentale disporre di una preparazione accurata. Per esempio, durante la preparazione ho messo a punto uno schema intessendo i contributi delle 130 band che si sarebbero esibite a Wacken nel 2013, cercando di renderlo interessante da un punto di vista emotivo e dei contenuti, sia per i fan del Metal che per i non fan. Così ho selezionato attentamente le band e le canzoni che sono nel documentario, e durante il festival sapevo almeno quale performance sarebbe stata rilevante per il film.

Ma non si tratta solo di musica.

È vero, abbiamo anche una dozzina di protagonisti che ci accompagnano durante tutto il film. Non volevo che fossero persone scelte con un casting e poi spedite a Wacken – non avrebbe funzionato. Volevamo veri appassionati del festival che avevano comprato il loro biglietto da tempo e che sarebbero andati comunque a Wacken. Dovevamo essere onesti e aderenti alla realtà. Seguire i protagonisti è stato il lavoro dei miei tre co-registi. Ho dato loro un’idea generale di quello che volevo, ma non sei mai sicuro che funzioni. Ci incontravamo tutte le mattine e tutte le sere per controllare cosa avevamo ottenuto e cosa no. A quel punto dovevamo decidere come andare avanti. È successo anche che alcuni possibili protagonisti siano spariti. Per esempio, volevamo seguire una nuova band che aveva suonato il primo giorno, ma è sparita per i due giorni successivi. È così che vanno le cose: cominci a girare ma non sai se avrai delle altre riprese che ti consentiranno di concludere la storia. A ripensarci è stata un’avventura folle.

Tu hai diretto l’unità A destinata a riprendere i concerti e hai dovuto delegare molto agli altri. Per un regista non deve essere facile.

Non lo è stato. Dovevo mantenere il controllo su qualcosa che non potevo vedere. Mi tenevo in contatto con gli altri telefonicamente. Spesso mi chiamavano per chiedermi di prendere una decisione strategica. Era un salto nel buio, ma dovevo lo stesso dire loro cosa volevo per il film, e qualche volta non erano d’accordo. Come quando ho chiesto delle riprese dei Ragnarok alle 2 del mattino perché le consideravo fondamentali. Il fatto è che ero l’unico ad avere una visione complessiva del progetto.

wacken_7_20151113_1817155811Come sono andate le interviste nei backstage? Siete stati sempre bene accolti?

Lavoro nell’industria musicale da tempo e so come comportarmi con gli artisti. So come avvicinarli, quando devo stare alla larga e quando posso farmi avanti. Fortunatamente conosco queste cose, perché bisognava muoversi in fretta. Ad alcuni musicisti non importa, sono molto rilassati. Con altri, capisci che hanno bisogno di riposarsi. Devi seguire il tuo istinto per fare la cosa giusta.

Come sei riuscito a riprendere momenti indimenticabili come quello in cui i veterani degli Anvil cercano di spiegare la loro filosofia a una band cinese esordiente?

Avevo visto il famoso documentario’The Story of Anvil’, e sapevo tutto quello che il gruppo aveva vissuto, cose che le giovani band che partecipano alla Metal Battle potrebbero vivere a loro volta. Tutti desiderano la celebrità, e questa può anche arrivare un giorno, così come il giorno dopo la band potrebbe sparire. È proprio quello che è successo agli Anvil. Ho pensato che sarebbe stato bello avere nel film un gruppo giovane che ascolta dei vecchi combattenti del Metal mentre danno consigli sul business. Devi solo sperare che venga bene come pensavi. In questo caso ha funzionato.

Come hai scelto chi intervistare?

Non vedevo l’ora di incontrare Henry Rollins, che più o meno fa da guida per tutto il film. Henry non è in sé un ‘metal man’ e può osservare il festival e l’industria da una prospettiva esterna. È un poeta, fa delle tournée di ‘spokenword’ (un tipo di performance composta da diverse forme espressive: poesia, improvvisazione, musica, ecc. ndt), sa giocare con le parole. Ogni sua affermazione sembra una poesia. Ci ha dato lunghe risposte, riflettendo sulle domande in modo filosofico e molto a fondo. È stato davvero fantastico. Con altri, ero spinto dal desiderio di scoprire cosa ci fosse dietro la maschera – i Ragnarok, per esempio. Ho poi scelto Jeff Waters degli Annihilator o Scott Ian degli Anthrax perché so che a loro piace parlare e hanno qualcosa da dire. L’intervista ad Alice Cooper è stata improvvisata nell’arco di dieci minuti, ma lui è un amico. Quante volte può capitarti di parlare con una leggenda vivente del rock?

wackenQuali sono stati per te i momenti più interessanti? Cosa ha funzionato bene? E cosa non è andato come avresti sperato?

Un momento che personalmente ritengo bellissimo è la performance degli Anthrax. Avevo appena finito di intervistare Scott Ian che aveva risposto alla mia domanda su cosa significhi per lui l’heavy metal dicendomi: ‘Sono un cazzo di uomo adulto che suona la chitarra in una band heavy metal’. Poi, durante la sua performance, ho fatto le mie riprese posizionato proprio dietro di lui. E nel momento in cui ha strattonato la chitarra ho capito davvero: quella era l’immagine che illustrava la sua affermazione. È stato un momento importante, perché i pezzi del film hanno cominciato a comporsi nella mia mente. Ovviamente anche Henry Rollins è stato fantastico. Ogni sua affermazione mi emozionava perché sapevo che sarebbe diventata il collante che tiene in piedi il film. I problemi sono stati tutti fondamentalmente di natura tecnica. Ma nel film, fortunatamente, non si vedono. È stato comunque un percorso faticoso. La macchina da presa che manovravo pesa circa 300 chili, e con tutta quell’attrezzatura mi è sembrato di girare un film in 16mm negli anni ’60. Ma la mia ambizione era realizzare un film in 3D che fosse convincente per il pubblico anche in 2D. E ha funzionato.

Perciò sei contento del risultato?

Assolutamente. A volte sono andato un po’ nel panico pensando alle 400 ore di materiale girato che avevamo acquisito e mi chiedevo non solo se sarei stato in grado di dare a tutto quel materiale una forma, ma anche se sarei riuscito a tirarne fuori un messaggio interessante. Tuttavia, procedendo nel lavoro, mi sono sentito sempre più fiducioso sull’esito del lavoro. Ho avuto subito dei feedback positivi e molto incoraggianti. Abbiamo chiesto ad un appassionato di Metal che assisteva ad un test screening a chi avrebbe fatto vedere il film, e lui ha risposto: ‘A mia madre. Ho capito così che stavamo andando nella direzione giusta.

Quanto hai dormito durante il festival?

Pochissimo. Giravo per 15 ore al giorno e poi controllavo le riprese fatte dai miei colleghi. Praticamente non c’è mai stato un momento di calma.

E quando è finito?

Tanto. Tantissimo. Ho dormito per due giorni. Ero completamente esausto.