Con un verdetto super ‘politico’ si è conclusa la 65° Berlinale, il prestigioso festival cinematografico che, ancor più di Cannes e Venezia, si caratterizza proprio per la sua spiccata attenzione ai film su temi ‘scomodi’ e socialmente rilevanti. L’Orso d’oro, assegnato dalla giuria presieduta dal regista Darren Aronofsky, è andato al film Taxi del regista iraniano critico del regime Jafar Panahi, costretto agli arresti domiciliari. Girato con smartphone e telecamere digitali, Taxi è un’opera dal taglio semi-documentaristico pensata come un ritratto della Teheran contemporanea, e vede al volante lo stesso regista che riprende i passeggeri mentre raccontano dei loro problemi di tutti i giorni. Al posto di Panahi, che nel 2010 è stato condannato a sei anni di arresti domiciliari a causa della sua attività di regista, ha ritirato il premio la nipote Hana Saeidi, che è anche protagonista del film. Favorito dalla critica fino all’ultimo, El Club del cileno Pablo Larrain si è dovuto ‘accontentare’ dell’Orso d’argento, proprio come già era accaduto per il film Boyhood l’anno scorso. Parla cileno anche il vincitore del Premio per la miglior sceneggiatura, Patricio Guzmàn per El botòn de nàcar sullo stermino delle popolazioni indigene della Patagonia.
Doppio riconoscimento per il cinema dell’Europa dell’est con l’Orso per la miglior regia assegnato ex aequo ad Aferim di Radu Jadu, imponente affresco della Valacchia nell’Ottocento, e Body della regista polacca Malgorzata Szumoska che esplora l’elaborazione del lutto, mentre migliori attori sono Tom Courtenay e Charlotte Rampling, marito e moglie nell’intenso dramma senile 45 years di Andrew Haigh. L’altro ex aequo per le ‘eccellenze nel contributo tecnico’ è andato alla fotografia del russo Under Electric Clouds di Alexey German Jr., ed a Victoria del tedesco Sebastian Schipper. Al film del Guatemala Ixcanul di Jayro Buscamante, sulla vita di una comunità maya, è andato il Premio Alfred Bauer per l’opera più innovativa.